martedì 28 agosto 2007

Le due Coree cercano la strada del dialogo (l'Occidentale)

A quasi sessanta anni dalla fine delle ostilità, la guerra nella penisola coreana non è ancora finita. Una pace formale, infatti, non è ancora stata firmata e l’armistizio di Panmunjom del luglio 1953 è ancora l’unico documento su cui si basano i rapporti tra le due Coree. Ecco perché l’incontro previsto tra i presidenti dei due paesi per discutere di pace offre una nuova speranza per la distensione nell’intera regione.
A precedere di poche settimane il vertice, lo spegnimento da parte dei nord coreani del reattore nucleare di Yongbyon, in conformità all’accordo siglato lo scorso febbraio. Il regime di Pyongyang ha infatti accettato di spegnere il reattore in cambio dello sblocco di alcuni fondi depositati a Macao e di ingenti rifornimenti di idrocarburi da parte dei 5 governi (Stati Uniti, Cina, Russia, Giappone e Corea del Sud) che prendono parte ai negoziati finalizzati a porre fine al programma nucleare nord coreano (the six-party negotiations group) e che hanno promosso l’accordo.
L’incontro, che avrà inizio oggi a Pyongyang e si protrarrà fino al 30 agosto, avrà ripercussioni sia a livello interno nelle due Coree, sia a livello internazionale. Per quanto riguarda la Corea del Sud, il presidente Roh Moo-Hyun ha interesse a raggiungere un’intesa con la Corea del Nord da far figurare come un successo diplomatico personale in vista delle elezioni presidenziali del prossimo dicembre. L’opposizione sud coreana invece, favorita nei sondaggi pre-elettorali, è propensa ad una linea più dura verso il regime di Kim Jong Il e ha già liquidato il prossimo incontro come nulla di più che una mossa mediatica del presidente Roh per accrescere il proprio consenso elettorale.
Nonostante i colpi di arma da fuoco scambiati nei giorni scorsi nella zona demilitarizzata, la Dmz, e nonostante Seul viva sotto la costante minaccia dell’artiglieria nord coreana, l’opinione pubblica sud coreana sembra convinta che Pyongyang non rappresenti più una grave minaccia militare. La “sunshine policy”, o “politica della luce del sole”, promossa dall’ex presidente sud coreano Kim Dae Jung, ispirata alla Öst politik del cancelliere tedesco Brandt, aveva portato nel 2000 all’ultimo incontro ufficiale tra le due Coree ma senza ottenere alcun successo. Anzi, segnò negativamente la presidenza di Kim Dae Jung, successivamente accusato di aver effettuato dei pagamenti segreti a Pyongyang di 186 milioni di dollari in cambio del semplice consenso di Kim Jong Il a sedersi al tavolo dei negoziati.
Kim Jong Il intende sfruttare al meglio il desiderio dei sud coreani di intensificare i rapporti con la Corea del Nord e di creare un clima più disteso nella penisola per mantenere il proprio indiscusso potere sul paese più isolato e repressivo del mondo. Tale volontà di distensione, inoltre, non potrà non avere ripercussioni internazionali. In questo senso, con molta probabilità, il leader del regime comunista nord coreano ha l’intenzione di sfruttare le contraddizioni interne al gruppo dei cinque Stati impegnati nei negoziati per la denuclearizzazione della Corea del Nord.
Cina e Russia sono favorevoli a una risoluzione diplomatica della crisi che garantisca la continuità del regime di Kim Jong Il, sia per sventare il pericolo che l’intera penisola coreana passi sotto l’influenza americana, sia per evitare che una massa di profughi nord coreani oltrepassi la frontiera e si riversi nei propri territori, generando una crisi umanitaria senza precedenti. Il Giappone, il paese più intransigente verso Pyongyang, prima di acconsentire al rifornimento di idrocarburi come stabilito nell’accordo dello scorso febbraio, vuole che si faccia chiarezza sui rapimenti di cittadini giapponesi avvenuti negli anni ’70 e ’80. Gli Stati Uniti vogliono evitare di trovarsi di fronte ad una nuova crisi internazionale assicurandosi comunque che Kim Jong Il non si doti di altre bombe atomiche, come quella fatta esplodere nel settembre del 2006.
E’ evidente che il rapporto tra le due Coree e la fine del programma nucleare nord coreano sono due questioni che s’influenzano reciprocamente. Lo scorso luglio, l’attivismo diplomatico americano e cinese aveva spinto il regime di Pyongyang a procedere allo spegnimento (non irreversibile) del reattore nucleare di Yongbyon e a consentire il ritorno nel paese degli ispettori dell’Agenzia Internazionale dell’Energia Atomica (Aiea) dopo più di cinque anni di assenza. La speranza dei diplomatici ora è quella di riuscire a organizzare un nuovo incontro tra i sei governi prima dell’incontro dell’Asia-Pacific Economic Cooperation (Apec) che si svolgerà in Australia ad inizio settembre. Scopo di questo incontro sarà quello di convincere la Corea del Nord a smantellare il proprio programma nucleare.
E’auspicabile che l’incontro tra i vertici delle due Coree che avrà inizio oggi produca dei risultati positivi. In caso contrario, l’insuccesso potrà diventare per Kim Jong Il un facile alibi per far fallire, prima ancora che abbiano inizio, i negoziati sullo smantellamento del suo programma nucleare. Il presidente sud coreano Roh, oltre a giocarsi la presidenza, ha deciso di assumersi anche una gravosa responsabilità verso i propri partner internazionali decidendo di incontrare il leader della Corea del Nord. Quella che a prima vista parrebbe una imprudenza di Roh, potrebbe al contrario rivelarsi come la prima falla nel regime di Kim Jong Il. I recenti sviluppi inducono dunque a un cauto ottimismo, tuttavia va osservato che gli interessi divergenti e la scarsa compattezza del fronte negoziale, è proprio ciò di cui l’autocrate di Pyongyang ha bisogno per guadagnare del nuovo, preziosissimo tempo e mantenere salda la presa sul potere.