sabato 27 ottobre 2007

Eurasia: l'oggetto del desiderio del Cremlino.

Le recenti dichiarazioni del Presidente russo Putin durante una conferenza stampa circa un “grandioso” piano di costruzione di nuove armi nucleari hanno suscitato sconcerto nell’opinione pubblica occidentale.

A questo si aggiunge il sostegno russo offerto all’Iran nell’ultimo incontro svoltosi a Tehran dei paesi che si affacciano sul Mar Caspio.

In pratica i paesi della regione tra cui Russia, Iran, Kazakhstan, Turkmenistan ed Azerbaijan riconoscono il diritto dell’Iran a sviluppare un proprio programma atomico e, allo stesso tempo, dichiarano solennemente che non lasceranno il proprio territorio essere la rampa di lancio per un attacco militare rivolto contro uno degli altri paesi. Un messaggio diretto alla Casa Bianca di George W. Bush e alla incessante pressione economica, diplomatica e militare americana sull’Iran affinché rinunci alle proprie ambizioni di arricchimento dell’uranio.

Lungi dall’essere un disinteressato benefattore del regime degli Ayatollah, il presidente Putin sta efficacemente realizzando alcuni dei suoi più importanti obiettivi di politica estera.

Prima di tutto soffiare sul fuoco delle speculazioni in atto circa un possibile conflitto mondiale non fa che alzare ancora il prezzo del petrolio sui mercati mondiali a tutto beneficio dei paesi produttori tra cui la Russia.

Semplici dichiarazioni in una conferenza stampa possono infatti valere miliardi di dollari.

I recenti avvenimenti poi andrebbero letti nell’ottica della Review of Russian Foreign Policy, pubblicato nel febbraio 2007, in cui il Cremlino individua nella maggiore coordinazione tra le organizzazione regionali in cui la Russia è parte essenziale, la possibilità di riemergere nel medio-lungo periodo come paese guida di un blocco eurasiatico.

Si tratterebbe quindi di coordinare organizzazioni quali la CTSO (Collective Security Organization) e Eurasec (Eurasian Economic Community) con la sempre più influente SCO (Shangai Cooperation Organization) in cui la Russia coopera con l’altro grande paese dell’area, la Cina.

Mentre la CTSO, un’alleanza militare e l’Eurasec, un’organizzazione economica, sono assoggettate alla predominanza russa, lo SCO è una joint-venture a matrice russa-cinese in cui non è del tutto chiaro fino a che punto gli interessi dei due grandi paesi asiatici convergano.

Gli obiettivi della cooperazione intergovernativa dello SCO sono però chiari: contrastare il terrorismo, islamista e separatista, e non consentire agli Stati Uniti di mettere piede stabile in Asia centrale, il “cortile di casa” sia di russi che di cinesi.

La rottura tra Uzbekistan e Stati Uniti nel 2005, che si erano accordati per consentire agli americani di avere delle basi militari e migliaia di uomini nell’area, e il rientro dello stesso Uzbekistan nel CTSO nel 2006 sono infatti la prova che l’influenza russa sta tornando dominante in Asia centrale dopo l’attivismo americano nella zona in seguito all’11 settembre 2001.

La dichiarazione congiunta dei paesi costieri del Mar Caspio, molti già parte in veste di membro effettivo o come osservatore di una delle organizzazioni eurasiatiche, non fa altro che ribadire l’intenzione di questi paesi di tenere alla larga l’ingerenza dei governi occidentali nei loro affari.

La Russia ottiene così il ruolo di “protettore” dello status-quo e della sicurezza dei regimi della regione.

L’attuale isolamento internazionale dell’Iran ha facilitato l’avvicinamento di Tehran al blocco guidato dalla Russia. Il desiderio di maggiori rapporti con la Russia espresso dalla Suprema Guida dell’Iran Ali Khamenei durante l’incontro che ha avuto con Putin lo dimostrano.

E’ inoltre interessante notare come nel maggio scorso il Segretario Generale del CTSO, Nikolai Bordyuzha, abbia dichiarato che sarebbe possibile una partecipazione dell’Iran all’alleanza militare del CTSO.

Sarebbe il primo paese membro non ex-sovietico dell’organizzazione.

Ma la strategia di Putin non è, almeno per ora, dichiaratamente anti-occidentale. Infatti la Russia intenderebbe promuovere il ruolo della CTSO anche attraverso un accordo di cooperazione con la NATO per la gestione della situazione in Afghanistan.

Questo attivismo russo nel porsi a capo di organismi multilaterali di natura economica e militare mette anche in evidenza il sorgere di un nuovo tipo di regionalismo “conservativo” descritto da Daniel Kimmage, analista che si occupa della regione centro-asiatica, come non caratterizzato da sistemi politici, tradizioni culturali e religiose comuni quanto piuttosto dagli interessi comuni delle élite al potere ossia la propria sopravvivenza politica.

I paesi occidentali sembrano disorientati e senza una chiara visione di come affrontare organicamente la questione centro-asiatica, oramai diventata una questione strategica di primaria rilevanza dal punto di visto economico e della sicurezza.

Gli Stati Uniti e i paesi europei sono divisi dai propri interessi commerciali, principalmente di natura petrolifera, nell’affrontare la questione che non può più essere limitata alla disputa sul programma nucleare iraniano e alla presenza americana in Iraq ma va allargata coinvolgendo gli attori principali dell’area.

La Cina non sembra voler essere coinvolta in una stretta alleanza militare con la Russia che verrebbe probabilmente percepita troppo in funzione anti-occidentale.

Tuttavia condivide con la Russia una visione delle relazioni internazionali multipolare in cui il ruolo degli Stati Uniti va ridimensionato a cominciare dal continente asiatico.

E’ indiscutibile che in Asia centrale il ruolo della Turchia è fondamentale per i governi occidentali ma le recenti dispute con gli americani sul massacro degli Armeni nel 1915 da parte dei turchi Ottomani, l’atteggiamento sospettoso degli europei verso una possibile accessione del paese all’Unione Europea e il secessionismo curdo sono fattori che stanno spingendo la repubblica kemalista a confrontare i propri interessi comuni con un vicinato in cui ci sono Russia, Siria, Iraq e Iran. Le tentazioni di alcuni, soprattutto in Europa, di allontanare la Turchia sarebbe un errore che tutti gli occidentali inevitabilmente pagherebbero a caro prezzo.

Da attivo praticante di judo qual’è, il Presidente Putin sa come esporre e sfruttare le debolezze altrui.

Quando l’inquilino del Cremlino afferma che la fine dell’Unione Sovietica è stata “la più grave catastrofe geopolitica della fine del ventesimo secolo” egli implicitamente suggerisce a chi ascolta che è compito di chi guida la Russia tornare allo statu quo ante quel disastro.

Sembra di capire che, dal punto di vista di Putin, per poter chiudere quella ferita ancora aperta nell’orgoglio russo, il vero banco di prova per far si che la Russia ritrovi il proprio ruolo di potenza mondiale sia il rapporto con il vecchio nemico, l’Occidente.

La grandezza della Russia, secondo Putin, è allora direttamente correlata all’indebolimento dell’Occidente.

L’Occidente, per concludere, ha oggi la necessità di smettere di offrire così facilmente il fianco alla politica del divide et impera perseguita da Mosca e sarebbe perciò tempo di sviluppare un nuovo e più pragmatico approccio alla questione euroasiatica.